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Orione
01/02/2000

A 400 anni dalla morte sul rogo, il pensiero di Giordano Bruno mostra ancora tutto il suo fascino innovativo nel campo delle scienze filosofiche.
Il poeta dell'infinito.

Il 17 febbraio dei 1600 moriva a Roma, sul rogo di Campo dei Fiori, Giordano Bruno, il filosofo naturalista che per primo, in età moderna, elaborò una tesi organica sulla infinità dell'universo.
Il grande merito del filosofo campano consiste nell'aver realizzato un modello cosmologico che, a differenza di quello tomistico-aristotelico, si fonda sull'idea che l'universo sia infinito, e che "finito" e "infinito" sono costituiti della stessa "sustanza" perché essi, così come tutti gli opposti, coincidono tra loro.
Mai nessuno si era spinto così avanti. Lo stesso Copernico non aveva detto nulla a proposito della natura dell'universo, tanto che Andrea Osiander, primo editore dell'opera copernicana De revolutionibus orbiumn celestium e considerato da Bruno "solo un asino ignorante e presuntuoso", nel curare la prefazione del celebre libro aveva sottolineato che la teoria eliocentrica di Copernico voleva essere solo un'ipotesi matematica senza alcuna pretesa di rispecchiare la verità fisica.
Chi effettivamente irrompe nel quadro culturale dominante del XVI secolo come un fulmine a ciel sereno, è appunto Giordano Bruno che, pur partendo da presupposti di natura filosofico-metafisica, quindi di carattere pre-scientifico, aprirà nuovi e rivoluzionari scenari nel campo dell'astronomia.

La vita

Nato nel 1548 a Noia, Giordano Bruno entrò nell'ordine domenicano all'età di 18 anni e vi rimase circa dieci anni, fino a quando la sua insofferenza per la disciplina ecclesiastica e l'elaborazione delle sue teorie filosofiche (ritenute sin dal principio "pericolose") lo indussero nel 1576 a gettare l'abito monastico e a fuggire dall'Italia. Dopo aver soggiornato a Ginevra, si trasferì a Parigi, dove insegnò filosofia e astronomia, incontrando la feroce opposizione degli aristotelici più intransigenti. Da qui si trasferì in Inghilterra, dove diede alla luce le opere più importanti e poi di nuovo a Parigi.
Nel 1591 accettò l'invito del nobile veneziano Giovanni Mocenigo e fece ritorno in Italia. L'anno successivo, però, fu lo stesso Mocenigo a denunciarlo all'inquisizione come eretico. A Venezia, Bruno riuscì a contrastare gli inquisitori. grazie alla tesi averroistica della doppia verità (la fede e la religione come mezzi di conoscenza della realtà per la gente ignorante; la filosofia e la scienza per gli uomini colti). Tuttavia, una volta trasferito a Roma, subì un processo che durò sette anni, alla fine del quale fu condannato a morte come eretico e bruciato vivo in Campo dei Fiori il 17 febbraio 1600.
Le opere più importanti di Bruno furono De l'infinito universo e mondi, La cena delle ceneri, Spaccio della bestia trionfante (tutte del 1584), Gli eroici furori (1585) e De triplici minimo et mensura (1591).

Il "finitamente infinito"

Partendo dalla concezione medievale che i corpi della stessa natura si "cercano" e si "attraggono", Bruno assegnò all'innata tensione umana verso l'infinito non un carattere religioso, nel senso tradizionale del termine, quanto una motivazione di carattere metafisico, cioè il naturale desiderio dell'uomo (che è un essere finito ma che ha in se una parte di natura infinita) di ricongiungersi all'Infinito globale che si esprime e si manifesta nella Natura. Da qui la definizione che egli dà dell'uomo: un essere "finitamente infinito". L'essere umano infatti è "finito" per estensione fisica e per la durata dell'esistenza ma è anche 'infinito" in quanto. pur nella sua finitezza, egli ha dentro di sé una natura infinita, responsabile della sua perenne tensione verso l'illimitato.
Giordano Bruno, quindi, trasferisce l'innata tensione dell'uomo verso l'infinito dalla tradizionale concezione cristiana. di naturale propensione dell'anima verso Dio, che ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza. a un piano naturalistico-immanente in quanto l'uomo non ricerca l'infinito perché attratto da Dio, ma perché egli vuole ricongiungere la parte di infinito che è dentro di sé con l'infinito totale, che non è trascendente ma immanente, cioè dentro il mondo sensibile, che per Bruno è comunque dotato di anima sensitiva e intellettiva ("panteismo").
Pertanto, Dio, che si identifica con la Natura, si manifesta nel Finito, e il Finito si manifesta nell'infinito, essendo parte integrante del Tutto; cioè l'uomo si manifesta in Dio (coincidenza degli opposti).

Una nuova concezione cosmologica

Bruno in questo passo tratto da La cena de le ceneri riduce la concezione aristotelico-tomistica dell'universo ad una semplice ipotesi cosmologica (e quindi vi elimina ogni pretesa di verità assoluta), dello stesso valore di altre ipotesi elaborate a riguardo come quella eliocentrica di Copernico e quella della infinità dell'universo sostenuta dallo stesso Bruno. Il filosofo campano fonda questa concezione sul presupposto che se la causa dell'origine dell'universo, quindi Dio, ha una natura infinita, deve essere infinito anche l'effetto (il
Creato):
"TEOFILO - Disse appresso Nundinio che non può essere verisimile che la terra si muove, essendo quella il mezzo et centro de l'universo, al quale tocca essere fisso et costante fundamento d'ogni moto. Rispose il Nolano: che questo medeismo può dir colui che tiene il sole essere nel mezzo de I universo, et per tanto immobile et fisso, come intese il Copernico et altri molti che hanno donato termine circonferenziale a l'universo. Di sorte che questa sua raggio-ne (se pur è raggione) è nulla contra quelli, et suppone i proprii principii. E nulla anco con tra il Nolano il quale vuole il mondio essere infinito, et però non esser corpo alcuno in quello al quale simplicimente convegna essere nel mezzo, o nell'estremo, o tra que' dua termini. Ma per certe relazioni ad altri corpi, et termini intenzionalmente appresi.
SMITHO - Che vi par di questo?
TEOFILO - Altissimamente detto. Per che come di corpi naturali nessuno si è verificato semplicemente rotondo, et per conseguenza aver semplicemente centro. cossì anco de moti che noi veggiamo sensibile et fisicamente ne' corpi naturali, non è alcuno che di gran lunga non differisca dal semplicemente circulare, et regolare circa qualche centro: forzensi quantosivoglia color che fingono queste borre et empiture de orbi disuguali, di diversità de diametri, et altri empiastri, et recettarii, per medicar la natura sin tanto che venga al servizio di Maestro Aristotele, o d'altro, a conchiudere che ogni moto è continuo et regolare circa il centro. Ma noi che guardamo non a le ombre fantastiche: ma a Le cose medesime; noi che veggiamo un corpo aereo, etereo, spirituale, liquido, capace loco di moto et di quiete, sino immenso et infinito (il che dovamo affermare al meno perché non veggiamo fine alcuno sensibilmente, né razionalmente) et sappiamo certo che essendo effetto et principiato, da una causa infinita, et principio infinito, deve secondo la capacità sua corporale; et modo suo essere infinitamente infinito".
Bruno si scaglia, poi, contro la teoria aristotelica del Motore Immobile "che tutto muove", sostituendovi una visione dell'universo che potremmo definire animistica (Bruno, infatti, chiama più volte i corpi celesti "animali", nel senso che hanno un'anima "sensitiva" e "intellettiva") e panteistica ma che, alla luce della fisica newtoniana, po• tremmo interpretare come una forza di attrazione che è all'interno di ogni corpo e che muove lo stesso verso il suo simile. Allo stesso modo i corpi celesti non si muovono sotto l'effetto del "Motore Immobile", ma si muovono proprio perché animati da questa forza propria.
Comincia a delinearsi per bocca di un filosofo quella visione che diventerà poi la teoria meccanicistica dell'universo che, a partire da Cartesio, sarà a fondamento della moderna scie astronomica:
"Consideresi dunque che come il maschio se muove alla femina, et la femina al maschio; ogni erba et animale, qual più et qual meno espressamente si muove al SUO principio vitale come al sole et altri astri. La calamita se muove al ferro, la paglia a l'ambra, et finalmente ogni cosa va a trovar il simile, et fugge il contrario: tutto avviene dal sufficiente principio interiore per il quale naturalmente viene ad esagitarse, et non da principio esteriore come veggiamo sempre accadere a quelle cose che son mosse o con tra, o extra la propria natura. Muovesi dumque la terra, et gli altri astri secondo le proprie differenze locali dal principio intrinseco che è l'anima propria."
Bruno, quindi, passa alla formulazione della teoria concernente l'infinità dell'universo e l'esistenza di "innumerabili fuochi e terre [cioè di innumerevoli sistemi solari]", teoria del cosmo nuova nel pensiero moderno. Lo stesso Copernico si era limitato (si fa per dire) all'elaborazione di una nuova teoria eliocentrica, riprendendo il pensiero di Aristarco di Samo e di altri come quello probabilmente del suo maestro Domenico Maria Novara.
Bruno, sposando a pieno la teoria dell'astronomo polacco, riporta nel passo che segue una brillante analisi dei movimenti terrestri e degli effetti che causano. Illustra il moto di rotazione terrestre intorno al proprio asse, responsabile del succedersi del dì e della notte, e il moto di rivoluzione intorno al Sole, causa dell'alternarsi delle stagioni, ma inserisce gli astri all'interno di uno spazio infinito, giustificando il tutto, come già abbiamo detto, con il celebre argomento che all'infinità della causa. (Dio) deve corrispondere l'infinità dell'effetto (il Creato):
'Pure di nuovo gli confirmava che l'universo è infinito e che costa d'una inmensa eterea regione. E' veramente un cielo il quale è detto spacio et seno, in cui sono tanti astri che hanno fissione in quello, non altrimente che la terra. Et cossi la luna il sole et altri corpi innumerabili sono, in questa eterea reggione, come veggiamo essere la terra. Et che non è da credere altro firmamento, altra base, altro fundamento, ove s'appoggino questi grandi animali che concorreno alla constituzion del mondo.
Vero soggetto, et infinita materia della infinita divina potenza attuale: come bene ne ha fatto intendere tanto la regolata raggione et discorso: quanto le divine revelazioni che dicono non essere numero de ministri de l'Altissimo, al quale migliaia de migliaia assistono, et diece centenaia de migliaia gli amministrano. Questi sono gli grandi animali de quali molti con br chiaro lume che da lor corpi diffondeno: ne sono di ogni contorno sensibili. De quali altri son effettualmente caldi come il sole et altri ìnnumerabili fuochi; altri son freddi, come la terra, la luna, Venere, et altre terre innumerabili.
Questi per comunicar l'uno a l'altro; et participar l'uni da l'altro il principio vitale, a certi spncii, con certe distanze, gli uni compiscono gli lor giri circa gli altri, come è manifesto in questi sette, che versano circa i! sole, de quali la terra è uno che movendosi circa il spacio di 24 ore dal lato chiamato occidente verso l'oriente: caggiona l'apparenza di questo moto de l'universo circa quella, che è detto moto mundano, et diurno. La quale imaginazione è falsissima, contro natura, et impossibile: essendo che sii possibile, conveniente, vero, et necessario, che la terra si muova circa il proprio centro per portici par la luce et tenebre, giorno et notte, caldo et freddo. Circa il sole per la participazione de la primavera, estade, autunno, inverno."

La Concidentia oppositorum

Pur partendo da presupposti qualitativi (tipici dell'era pre-scientifica) e non quantitativi, Bruno fornirà con la "coincidenza degli opposti", quindi con la coincidenza tra Finito e Infinito, un sostrato culturale su cui si innesterà il pensiero scientifico moderno.
La Concidentia oppositorum, ripresa dalla filosofia di Nicolò Cusano, in Bruno acquista un valore diverso, perché questa coincidenza non ha luogo solo in Dio, ma nella stessa natura. Così, il filosofo campano finisce per teorizzare una uguale natura "sustanziale" tra terra e cielo, tra Finito e Infinito. Scrive, infatti, Ludovico Geymonat: "Anche quando [Giordano Bruno] cercherà di spiegare il mondo per mezzo degli atomi o monadi, sosterrà che in essi si realizza un intimo nesso tra l'infinitamente piccolo e l'infinitamente grande, tra il minimo e il massimo" (L. Geymonat, R. Tisato, Filosofia e pedagogia nella storia della civiltà, Garzanti, Milano, 1997). Una concezione, dunque, che non riserva alcuna differenza "sustanziale" tra la materia dell'universo e quella del cosiddetto mondo sublunare. Una teoria che affonda le sue radici nella filosofia presocratica, in particolare in quella di Democrito, ma che presto sarà a fondamento del moderno pensiero scientifico e quantitativo.
Per concludere, possiamo dire che Giordano Bruno è il primo ad elaborare una teoria cosmologica moderna fondata sull' eliocentrismo copernicano e sostenuta dall'idea che l'universo è infinito. Così, anche se il Nolano elabora un sistema filosofico pre-scientifico, fondato su argomenti di carattere qualitativo e non quantitativo, egli è il primo a dare una nuova collocazione all'uomo che viene posto non più in mezzo ma ai margini di un universo senza centro e senza fine, all'interno del quale la sfera celeste e il mondo terrestre sono intimamente connessi da simile natura ("sustanzia").
Se Bruno, comunque, con la filosofia degli "eroici furori" attribuisce all'uomo e alla sua facoltà razionale ancora un ruolo predominante all'interno del cosmo (da qui anche la concezione dell'uomo come essere "Finitamente Infinito"), il nuovo modello cosmologico da lui elaborato sarà destinato a creare nella sensibilità dei poeti e dei filosofi successivi un senso di smarrimento e di precarietà esistenziale all'interno di un universo troppo grande scorrazza su erba o foglie; il cartoccio di cellophane di un pacchetto di sigarette accartocciato vicino all'orecchio: qualcuno che a buona distanza flette una grossa lastra di metallo...
I tentativi di registrare tale tenue sussurro hanno avuto successo solo di recente grazie al lavoro di Eigil Ungstrup, un ricercatore danese che è riuscito a identificare strumentalmente tale suono, descrivendolo come un hiss con una frequenza di circa 100 Hz.. Anche Stephen McGreevy, un ricercatore americano dell'Università dello Iowa. sarebbe riuscito nell'intento di registrare questo sussurro, grazie a un'antenna appositamente progettata.
Diverse ipotesi sono state nel tempo proposte nell'intento di verificarne la reale natura. La prima - preferita dagli scettici - è quella, del cosiddetto tinnittis. Questo è il rumore di fondo sempre e comunque presente nelle nostre orecchie per la semplice ragione di esistere e funzionare e, con un po' di attenzione, se ne acquista consapevolezza ogniqualvolta ci troviamo in un luogo particolarmente silenzioso.. Secondo tale ipotesi si tratterebbe quindi solo di un normale rumore di fondo dell'orecchio umano che gli osservatori non riuscirebbero a discernere suggestionati dallo spettacolo che si dipana dinnanzi ai loro occhi. I sostenitori della realtà del suono delle aurore fanno comunque notare che le sue caratteristiche sono differenti da quelle del tinnitus e che esso non si manifesti in connessione con altri fenomeni naturali. Una seconda ipotesi fa risalire tale suono a processi in atto proprio nella zona in cui le luci aurorali si originano (a circa 80-400 km di altezza) e che si propagherebbe poi verso la superficie terrestre. L'attenuazione che tuttavia subirebbero le onde acustiche a causa di un così lungo viaggio sarebbe però tale da renderle assolutamente al di sotto della sensibilità dell'orecchio umano. Inoltre, il viaggio di tali onde impiegherebbe qualche minuto (considerando una velocità di 330 m/s per le onde acustiche e una distanza di 100 km, il tempo necessario sarebbe infatti di circa 5 minuti) e non si spiegherebbe quindi la sincronicità tra movimenti delle luci aurorali e andamento del suono che i testimoni sostengono si osservi. Una terza ipotesi è quella del bruslz discharge (in italiano tale fenomeno è noto come effetto corona o elettricità delle punte).
Allorquando si verifica una differenza di potenziale sufficientemente alta in presenza di oggetti appuntiti (quali ad esempio alberi), si genera una scarica elettrica, producendo un suono che si avvicinerebbe a quello che i testimoni dichiarano di udire. Analogo fenomeno è quello dei fuochi di Sant'Elmo (St. Elmo's fires) che si verificano sugli alberi delle navi durante alcuni temporali a causa del campo elettrico che si sviluppa. Sebbene durante le più intense aurore il campo elettrico necessario ad innescare tale fenomeno possa venire raggiunto, questo richiederebbe qualche secondo per verificarsi e non si spiegherebbe l'istantaneità con i mutamenti delle luci aurorali. Scarse e vaghe sono anche le testimonianze di odore di ozono che dovrebbe svilupparsi durante tale fenomeno.
Giungiamo quindi all'ultima e credibile ipotesi proposta da Colin Keav (ricercatore presso l'Università di Newcastle in Australia) alla fine degli anni Settanta. Secondo tale teoria, sostenuta da diverse osservazioni ed esperimenti di laboratorio, alcune onde elettromagnetiche di appropriata frequenza (pari a quella delle associate onde acustiche) ed intensità possono tradurre parte della loro energia in onde acustiche grazie ad appropriati oggetti nelle vicinanze dell'osservatore (capelli, erba, alberi...) che funzionano appunto da "trasduttori". La loro assenza spiegherebbe perché per alcuni testimoni tali aurore restano "mute". Durante le aurore, onde elettromagnetiche con frequenze pari a quelle acustiche sono state osservate tanto nello spazio (dai satelliti) quanto sulla superficie terrestre (tramite antenne radio). Analogo fenomeno è quello alla base delle onde acustiche che si sviluppano in connessione con il verificarsi di esplosioni nucleari e con il passaggio di bolidi (meteore particolarmente "coripose"). Tale campo di studio è spesso indicato con il termine anglosassone Geophysicnl Electroplzonics.
La scienza si appresta quindi a comprendere e descrivere i diversi aspetti legati all'apparire delle luci aurorali ma ci piace pensare che nulla vada perduto dell'incanto e della poesia con la quale la natura riesce a nutrire l'immaginario dell'uomo che, oltre che di teoremi ed equazioni, ha anche bisogno di leggende, miti e sogno.

Maurizio Vicoli


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