Con questo discorso, Pronunziato nel Club dei giacobini, Robespíerre
prese posizione contro la guerra, che era sostenuta dai Girondini
e anche da una parte di accesi radicali, fiduciosi di poter abbattere
le monarchie assolute in Europa e diffondere la rivoluzione. Robespierre
metteva invece in guardia contro i peri- coli che la guerra avrebbe
rappresentato proprio per la rivoluzione. Il partito della guerra
finì col trionfare nell'aprite del 1792.
LA GUERRA E' DESIDERATA DALLA CORTE E DAI NEMICI DELLA RIVOLUZIONE.
Tutta la questioni sta proprio qui, nella nostra situazione straordinaria.
Voi avete continuamente distolto i vostri sguardi da essa; ma io
ho dimostrato ciò che era chiaro a tutto il mondo, che l'attuale
proposta di guerra è il risultato di un progetto macchinato da tempo
dai nemici in- terni della nostra libertà, ve ne ho mostrato gli
scopi, ve ne ho indicato i mezzi d'esecuzione, altri vi hanno dimostrato
che essa non è altro che una manifesta insidia, un oratore, membro
dell'Assemblea costituente, vi ha detto a questo proposito certe
verità,di fatto molto importanti, non vi è persona ché non si sia
accorta di questa insidia al pensiero che coloro che avevano costantemente
protetto l'emigrazione e gli emigrati ribelli si proponevano di
dichiarare guerra ai loro protettori e nello stesso tempo difendevano
ancora i nemici dell'interno ad essi confederati. Voi stessi avete
convenuto che la guerra -piaceva agli emigrati, che piaceva al ministero,
agli intriganti di corte, alla numerosa fazione i cui capi ben noti
dirigono da tempo tutti i passi del potere esecutivo, le trombe
dell'aristocrazia e del governo tutte insieme ne danno il segnale;
infine chiunque negasse che la condotta della corte sia stata dall'inizio
della rivoluzione sempre in contrasto coi principi dell'eguaglianza
e coi rispetto per i diritti del popolo sarebbe considerato come
un insensato se fosse in buona fede; chiunque dicesse che la corte
propone una misura così decisiva come la guerra senza metterla in
rapporto al suo piano, darebbe un'idea ancor meno buona dei suo
giudizio. Ebbene, potete dire che sia indifferente per il bene dello
Stato che l'impresa della guerra sia diretta dall'amore della libertà
o dallo spirito di dispotismo, dalla fedeltà o dalla perfidia? Eppure
cosa avete risposto a tutti questi fatti decisivi? Cosa avete detto
per dissipare tanti giusti sospetti? La vostra risposta al punto
che è il principio fondamentale di tutta la discussione permette
di giudicare tutto il vostro sistema.
LA RIVOLUZIONE NON SI ESPORTA.
E' nella natura delle cose che la marcia della ragione sia lentamente
progressiva. Il governo peggiore trova un appoggio potente nei pregiudizi,
nelle abitudini, nell'educazione dei popoli. Lo stesso dispotismo
deprava lo spirito degli uomini fino a farsi adorare e fino a rendere
la libertà so- spetta e terrificante a prima vista. L'idea più stravagante
che possa nascere nella testa di un uomo Politico è quella di credete
che sia suffIciente per un popolo entrare a mano armata nel territorio
di un popolo straniero per fargli adottare le sue leggi e la sua
costituzione. Nessuno ama i missionari armati, il primo consiglio
che danno la natura e la prudenza è quello di respingerli nemici.
[...]
Prima che gli effetti della rivoluzione si facciano sentire sulle
nazioni straniere bisogna che essa sia consolidata. Voler dare la
libertà ad altre nazioni prima di averla conquistata noi stessi,
significa garantire insieme la servitù nostra e quella del mondo
intero. Pensare che quando un popolo si dà una costituzione tutti
gli altri rispondano nello stesso istante a questo segnale, vuol
dire formarsi un'idea esagerata e assurda delle cose. L'esempio
dell'America, che voi avete citato, sarebbe stato sufficiente a
spezzare le nostre catene, se il tempo e il concorso delle circostanze
più fortunate non avessero avvicinato insensibilmente questa rivoluzione?
La dichiarazione dei diritti non è la luce del sole che illumina
tutti gli uomini nella stesso istante, non è la folgore che colpisce
nello stesso tempo tutti i troni. E' più facile scriverla sulla
carta o inciderla nel bronzo che ristabilire nel cuori degli uomini
i suoi caratteri cancellati dall'ignoranza, dalle passioni e dal
dispotismo. Che dico? Essa non è misconosciuta- calpestata, ignorata
tutti i giorni perfino in mezzo a voi che l'avete promulgata? Dov'è
l'uguaglianza dei diritti fuorché nei principi della nostra costituzione?
Non rialza la sua testa schifosa il dispotismo, l'aristocrazia risuscitata
sotto nuove forme? Non opprime essa ancora la debolezza, la virtù,
l'innocenza in u nome della legge e della stessa libertà? Assomiglia
tanto a sua madre la costituzione che si è detta figlia della dichiarazione
dei diritti? Che dico? Questa vergine, un tempo raggiante di una
beltà celeste, è ancora simile a se stessa? Non è uscita illividita
e insudiciata dalle mani impure della coalizione che turba e tiranneggia
oggi la Francia e alla quale non manca che l'adozione delle perfide
misure che io combatto in questo momento per realizzare i suoi perfidi
progetti? Come potete dunque credere che nello stesso momento in
cui i nostri nemici interni avranno deciso per la guerra, essa opererà
i prodigi che non ha potuto ancora operare in mezzo a noi?
IL CAMMINO DELLA RIVOLUZIONE
Sono ben lontano dal pretendere che la nostra rivoluzione non
inluirà sulla sorte del Inondo in seguito, forse anche più presto
di quanto le apparenze attuali sembrino annunciare. A Dio non piaccia
che rinunci ad una speranza così dolce! Ma io sostengo che in questo
momento ciò non può ancora avvenire; sostengo che per lo meno non
ve n'è alcuna prova e che non bisogna mettere a repentaglio la nostra
libertà, sostengo che per eseguire con successo una simile impresa
in qualsiasi tempo lo si faccia, occorre volerla, mentre il governo
che avrebbe esserne incaricato e i suoi agenti non la vogliono e
l'hanno dichiarato chiaro e tondo. Infine volete un sicuro contravveleno
a tutte le illusioni che vi si presentano? Riflettete seriamente
sul cammino naturale delle rivoluzioni. Negli Stati costituiti,
come sono quasi tutti i paesi d'Europa, vi sono tre potenze: il
monarca, gli aristocratici e il popolo (ma veramente il popolo non
conta nulla). Se in questi paesi scoppia una rivoluzione, non può
essere che graduale. Essa comincia con l'azione dei nobili, dei
clero, dei ricchi, e il popolo l'appoggia quando i suoi interessi
si accordano coi loro per resistere all'oppressione della potenza
dominante, ossia dei monarca. Così in mezzo a voi sono stati i parlamenti,
i nobili, il clero, i ricchi che hanno dato la spinta alla rivoluzione;
dopo è comparso il popolo. Essi se ne sono pentiti o per lo meno
hanno voluto fermare la rivoluzione, quando hanno visto che il popolo
poteva riconquistare la sua sovranità; ma sono loro che l' hanno
cominciata; senza la loro resistenza e i loro calcoli sbagliati
la nazione, sarebbe ancora sotto il giogo del dispotismo. Basandovi
su questa verità storica e morale, potete giudicare quanto poco
potete fare assegnamento sulle nazioni d'Europa in generale; infatti
gli aristocratici di queste nazioni sono altrettanto nemici dei
popolo e dell'eguaglianza quanto i nostri e, ben lontano dal dare
il segnale dell'insurrezione, sono stati avvertiti dal nostro stesso
esempio e si sono alleati col governo come i nostri, per mantenere
il popolo nell'ignoranza e nelle catene e per sfuggire alla dichiarazione
dei diritti. [...]
"RIMETTETE ORDINE IN CASA VOSTRA PRIMA DI PORTARE LA LIBERTA IN
CASA D'ALTRI ".
Prima di smarrirvi nella politica e negli Stati dei principi d'Europa,
cominciate a puntare i vostri sguardi sulla vostra situazione interna;
rimettete ordine in casa vostra prima di portate la libertà in casa
d'altri. Ma voi non volete essere minimamente infastiditi da questi
pensieri, come se per i grandi politici non valessero le regole
più elementari del buon senso. Rimettere ordine nelle finanze arrestarne
la dilapidazione, armare il popolo e le guardie nazionali, fare
tutto ciò che il governo ha voluto impedire finora, per non dover
temere né gli attacchi dei nostri nemici né gli intrighi ministeriali,
rianimare lo Spirito pubblico e risvegliare l'orrore della e tirannia,
che solo può renderci invincibile contro tutti i nemici, con leggi
benefiche, con un comportamento energico, dignitoso e saggio, tutto
ciò non è che un insieme di idee ridicole. La guerra, la guerra,
poiché la chiede la corte; questa decisione dispensa da ogni altra
preoccupazione; Si è a posto nei riguardi del popolo, quando gli
si dà la guerra; guerra contro i nemici indicati dalla corte nazionale
e contro i principi tedeschi, fiducia, idolatria per i nemici interni.
Ma cosa dico? ne abbiamo poi di nemici interni? No, voi non ne conoscete;
voi non conoscete che Coblenza. Non avete detto che il focolaio
della malattia è a Coblenza? Ma esso non è dunque a Parigi? Non
vi è dunque relazione fra Coblenza e un altro luogo che non è troppo
lontano da noi? Avete il coraggio di dire che ciò che ha fatto retrocedere
la rivoluzione è la paura che ispirano alla nazione gli aristocratici
fuggiaschi che essa ha sempre disprezzato, e poi vi aspettate da
questa nazione prodigi di ogni genere! Sappiate dunque che a giudizio
di tutti i francesi di buon senso la vera Coblenza è in Francia,
che quella dei vescovo di Treviri non è che una delle leve di una
grossa macchinazione contro la libertà, il cui centro, i cui capi
sono in mezzo a noi, Se ignorate queste cose vuoi dire che tutto
ciò che avviene in questo paese vi è estraneo. Se le sapete, perché
le negate? Perché distogliere l'attenzione pubblica dai nostri più
temibili nemici per fissarla su altri oggetti, per condurci nella
trappola in cui essi ci attendono? [ ...]
PERICOLI DELLA GUERRA.
Come ho già detto, durante la guerra esterna gli avvenimenti militari
distraggono il popolo dalle deliberazioni politiche che interessano
le basi essenziali della sua libertà e fanno sì che esso presti
minore attenzione alle sorde manovre degli intriganti che le minano
e del potere esecutivo che le scuote, alla debolezza e alla corruzione
dei rappresentanti che non le difendono. Questa politica fu adoperata
in tutti i tempi, checché ne abbia detto il signor Brissot, l'esempio
degli aristocratici di Roma è indicativo ed espressivo in questo
senso. Quando il popolo reclamava i suoi diritti contro le usurpazioni
del senato e dei patrizi, il senato dichiarava la guerra; e il popolo
dimenticando i suoi diritti e gli oltraggi ricevuti, si occupava
sol. tanto della guerra, lasciava al senato tutto il suo potere
e preparava nuovi trionfi ai patrizi. La guerra è buona per gli
ufficiali militari, per gli ambiziosi, per gli agitatori che speculano
su questo genere di avvenimenti; è buona per la coalizione dei nobili,
degli intriganti, dei moderati che governano la Francia. Questa
fazione può mettere i suoi eroi e i suoi membri alla testa dell'esercito;
la corte può affidate le forze dello Stato agli uomini che all'occasione
possono servirla con tanto maggior successo quanto più saranno riusciti
a conquistarsi una specie di reputazione di patriottismo; essi si
guadagneranno il cuore e la fiducia dei soldati per legarli più
fortemente alla causa del realismo e del moderatismo.
(Da La rivoluzione giacobina, a cura di G. Cantoni, Milano,
1953)